Gli ostacoli organizzativi, l’esiguità delle risorse, le alleanze provvisorie con istituzioni nazionali ed estere, dettavano solo la fisionomia esterna delle “stagioni” e delle rassegne del Teatro Club senza che impedisse agli spettatori di visitare, con occhio nuovo, divertito o sorpreso, i più diversi abitanti delle scene e così scoprire il senso del proprio viaggio. In questa stanza abbiamo ricreato alcuni degli itinerari proposti del Teatro Club che hanno contribuito a mutare il modo “normale” d’essere spettatore.
Gallery 1: L’arte del movimento
Frontespizio del programma della prima tournée della compagnia Alhambra – Music Halll di Roland Petit. Teatro Parioli, 21-23 novembre 1961.
Nella programmazione del Teatro Club, uno spazio rilevante era dedicato al proposito di mostrare l’arte dei corpi in movimento come un unico arcipelago composto da differenti isole. La danza moderna, le danze africane e australiane, cerimoniali e rituali, i danzatori di Bali, la nuova pantomima, le forme popolari del ballo venivano mostrate per suggerire, aldilà delle consuetudini dei generi e della rigidità delle tradizioni, l’invenzione di nuove lingue per il teatro.
Jean Babilée_ Danzatore, coreografo, e poi anche attore e regista teatrale, nel dopoguerra in Francia aveva creato una nuova e seducente figura d’artista nel mondo della danza. Attraverso le straordinarie doti acrobatiche modellate nelle forme del balletto classico e della danza moderna, Babilée aveva creato una persona di scena ricca di fantasia, autorevolezza, intensità emotiva e sensuale bellezza.
Jean Babilée venne due volte con la sua compagnia, presentando Les Ballets Jean Babilée: il 27 novembre 1958 al Teatro Quirino, con la presentazione di Luchino Visconti; una seconda volta il 10-11 novembre 1959 al Teatro Parioli.
Felix Blaska, allievo Roland Petit, aveva dato vita ad una sua formazione di giovani danzatori animata da una allegra vitalità. La sua apparizione a Roma aveva entusiasmato il pubblico, come poco prima in Francia: «Dove i suoi coetanei esplorano il mondo delle emozioni egli esplora il mondo dell'humour». «Se non conoscete Blaska eccone un ritratto: egli è piccolo, vivo, bruno e spesso all’ultima fila tra i suoi danzatori ha sempre qualcosa che danza con lui: la fiamma dei suoi occhi». Estratto da «Le Monde», 12 marzo 1970 contenuto tra i materiali preparatori della stagione.
La compagnia Les Balletts Felix Blaska era tornata al Premio Roma nel 1973 con la sua compagnia. Aveva già partecipato all’edizione del 1970, ma la sua prima apparizione romana risale al 1963, quando fu tra i danzatori dello spettacolo di Zizi Jeanmaire, presentato con la compagnia di Roland Petit.
«Zizi Jeanmaire è ritornata a Roma per presentare in prima mondiale, nel quadro della settimana del balletto organizzata dal Teatro Club, il nuovo spettacolo che andrà in scena a Parigi il 15 dicembre. Nel pomeriggio ha interrotto le prove per una conferenza stampa e ha spiegato che, essendo questo il secondo anno di collaborazione fra il Théâtre National Populaire e la compagnia di balletti che fa capo a lei e al coreografo Roland Petit, spera che ormai possa considerarsi una bella abitudine. George Wilson, che ha preso il posto di Jean Vilar alla direzione del prestigioso complesso parigino, vede di buon occhio la cosa, quindi possiamo dire che Zizi e Petit ormai fanno parte della gloriosa compagnia». Estratto dell’articolo dal titolo Venere cambia pullover in un balletto gastronomico da «IL GIORNO», del 20 novembre 1963.
Zizi Jeanjeamarie partecipò a diverse rassegne del Teatro Club. La prima nel novembre del 1961, con lo spettacolo Alhambra Music Hall, la seconda a cui si riferisce l’articolo citato nel novembre del 1963 dal titolo Zizi Jeanmarie, infine durante la prima edizione del Premio Roma ’69 con Zizi Jeanmarie Show. Tutti spettacoli nati all’interno della compagnia diretta da Roland Petit, Ballets de Paris. «Non si tratta di uno spettacolo di balletto puro e semplice – ha spiegato la Jeanmaire – ma di un vero Zizi-show. Tutto lo spettacolo si basa su di me… la prima parte è riservata a balletti vecchi e nuovi, la seconda al “Tour de chant”… Potrei dire che lo spettacolo che presenteremo è un musical raffinato… oh, j’adore ça!». Il pezzo forte della prima parte sarà il nuovo balletto intitolato Les gourmandises, cioè le ghiottonerie, su musica di Michel Mention. «Dura venti minuti – dice Zizi – vedrete danzare tutti i piatti più appetitosi. Vi servirò per esempio delle “Quaglie farcite”, rappresentate da un gruppo di girls, poi un “Negro in camicia”, preceduto da antipasti, contorni e tutto quello che ci vuole in casi del genere. I camerieri saranno trenta danzatori fra cui alcune splendide ragazze». Nessun balletto classico? «Sì – ha risposto Zizi – un “Pas de quatre”, su musica di Vivaldi… e gli ormai famosi Trúc en plumes, e Eh, l’amour!, che, pur essendo modernissimi, ormai hanno una loro classicità». Estratto dell’articolo dal titolo Venere cambia pullover in un balletto gastronomico da «IL GIORNO», del 20 novembre 1963 che fa parte del libretto di sala.
Bozzetto di Nathalie d’Arbeloff per il manifesto dello spettacolo di Moiseev presentato al Palazzetto dello Sport, “Palaeur”, Roma, 23-30 ottobre 1961.
La storia di questa strabiliante compagnia comincia nel lontano 1936 allorché si tenne a Mosca il Festival dei popoli più disparati dell’Unione Sovietica, dai Cosacchi ai Mongoli, dagli Ukraini ai Tartari ai Georgiani, si esibirono nelle pubbliche piazze e nei teatri in una fantasmagoria di danze, di musiche, di canti della loro terra. Un’immagine senza precedenti di quel crogiuolo di popoli che l’U.R.S.S., un’immagine che fece balenare un’idea geniale nella mente di un giovane coreografo e ballerino del grande teatro Bolsoj: Igor Moiseev. Egli cercò febbrilmente tra le centinaia di artisti e dilettanti giunti da ogni repubblica dell’U.R.S.S. gli elementi migliori e raccolse il nucleo di quella che sarebbe diventata in breve tempo la più grande compagnia di danza folclorica del mondo. Moiseev, ricco dell’impeccabile tradizione accademica del balletto classico russo (dedicò la sua vita e il suo genio di uomo di teatro allo studio e all’elaborazione del patrimonio di danze popolari di tutti i popoli dell’U.R.S.S. Attraverso la danza, il carattere e il cuore stesso dell’antica Russia e della giovane Unione di Repubbliche Sovietiche; un mondo intero di contadini, di partigiani, di soldati, di marinai, di ragazze e ragazzi belli, giovani ed entusiasti, si avvicendano dinanzi ai nostri occhi in un carosello impetuoso di danza e di colori. Dagli appunti preparatori del Teatro Club della stagione 1962.
[…] Questa arte andalusa sfugge per la magia – il duende diceva García Lorca – di questi perpetui innovatori che sono gli interpreti del Flamenco. L’Antologia del Flamenco è l’espressione di una realtà popolare, che tocca sia i problemi sociali che i problemi individuali, e che trova nei suoi colpi di martello sull’incudine, nel trotto di un mulo, nei tamburi della Settimana Santa, nella chitarra, e nel semplice battere delle palme, gli elementi sufficienti alla sua espressione. Dal libretto di sala José Monleon
Allievo di maestri di Siviglia e Madrid, José De La Vega aveva danzato con successo nei Balletti di Pilar López prima di fondare la propria compagnia. Per gli spagnoli rappresentava la danza popolare nazionale, con coreografie fedeli alla tradizione. Lorca e Il flamenco Teatro Eliseo 10-23 febbraio 1964.
«Non pensavamo mai di vedere in Europa questi vagabondi, corridori delle boscaglie australiane. Invece è un avvenimento assolutamente sensazionale, un gruppo, esiguo ma splendido, per la prima volta in Italia e in Europa(...). Sono danze brevissime: appena ne sei incantato sono già finite. Preparano i passi. C’è una lieve avanzata verso un punto, (che per caso, siamo noi, gli spettatori). Poi c’è lo scatto: un guizzo assolutamente meraviglioso. [...]Si voltano e tornano al loro tappetino di juta». Gerardo Guerrieri, Il Teatro in contropiede. Cronache e scritti teatrali 1974-1981, c.c. di S. Chinzari, Bulzoni, pp-699-700.
Scene tratte dallo spettacolo Danze tribali e totemiche 3-5 novembre 1981, Aula Magna, Università Sapienza di Roma.
Scramble - Canfield -How to pass kick fall and run, tra gli spettacoli presentati a Roma, da Merce Cunnigham, è uno dei capitoli più significativi della sua collaborazione con il musicista John Cage, convinti entrambi che danza e musica devono essere in grado di esistere contemporaneamente, ma in modo indipendente. I movimenti continui dei danzatori, ispirati a immagini di sport e giochi, erano eseguiti con la musica di Cage che leggeva ad alta voce alcune sue storie tratte dall’opera Silence, a Year from Monday. Scramble - Canfield -How to pass kick fall and run Roma, Teatro Sistina, 22 aprile 1969 Rainforest- Winter-Branche – Walkaround Time Roma Teatro Sistina 23 aprile 1969
Ladislav Fialka, danzatore e poi allievo di Jean Baptiste Debureau, nel 1958 aveva partecipato a Praga alla fondazione del teatro Divadlo na zábradlí ("Teatro sulla ringhiera"). Ispirato dall'arte di Marcel Marceau, che aveva incontrato a Parigi, e da Jean Louis Barrault, Fialka aveva rivissuto la tradizione dei pierrots creando Knoflick bouton, un tipo di clown bianco protagonista di pantomime in cui, mescolando umorismo, nonsense, canzoni da fiera e da cabaret, dava vita a storie poetiche e di arguta critica della vita contemporanea.
Ladislav Fialka con la compagnia di pantomima Divadlo na Zabradli venne durante la prima edizione del Premio Roma presentando Il Bottone, Roma, Teatro Sistina, 28 aprile 1969 e Il piccolo circo e altre invenzioni. Studi e variazioni, al teatro Sistina, il 29 aprile 1969. Premio Roma.
Maurice Sonar Senghor, allievo del Centre Artistique International Dramatique e del Cours d'Art Dramatique du Vieux Colombier di Parigi, è stato il primo regista teatrale dell'Africa subsahariana. Nel 1964 era stato nominato direttore del Teatro Nazionale del Senegal.
La creazione dell'Ensemble National Du Senegal è stata il risultato di un lungo studio. Seimila chilometri di pista percorsi in dodici settimane, duecento villaggi visitati, più di duemila cantanti e danzatori visti all'opera, trecentocinquanta metri di film di danze rituali, più di 20 ore di registrazioni di musiche e canti di tutte le regioni del Senegal. I quarantacinque artisti che costituiscono la compagnia esprimono sia la tradizione, sia le aspirazioni, sia le preoccupazioni del popolo Senegalese. Si tratta di un affresco della vita, inseparabile dalle espressioni artistiche dei Senegalesi. Maurice Sonar Senghor, estratti dal materiale preparatorio della stagione.
Jean Babilée_ Danzatore, coreografo, e poi anche attore e regista teatrale, nel dopoguerra in Francia aveva creato una nuova e seducente figura d’artista nel mondo della danza. Attraverso le straordinarie doti acrobatiche modellate nelle forme del balletto classico e della danza moderna, Babilée aveva creato una persona di scena ricca di fantasia, autorevolezza, intensità emotiva e sensuale bellezza.
Jean Babilée venne due volte con la sua compagnia, presentando Les Ballets Jean Babilée: il 27 novembre 1958 al Teatro Quirino, con la presentazione di Luchino Visconti; una seconda volta il 10-11 novembre 1959 al Teatro Parioli.
Felix Blaska, allievo Roland Petit, aveva dato vita ad una sua formazione di giovani danzatori animata da una allegra vitalità. La sua apparizione a Roma aveva entusiasmato il pubblico, come poco prima in Francia: «Dove i suoi coetanei esplorano il mondo delle emozioni egli esplora il mondo dell'humour». «Se non conoscete Blaska eccone un ritratto: egli è piccolo, vivo, bruno e spesso all’ultima fila tra i suoi danzatori ha sempre qualcosa che danza con lui: la fiamma dei suoi occhi». Estratto da «Le Monde», 12 marzo 1970 contenuto tra i materiali preparatori della stagione.
La compagnia Les Balletts Felix Blaska era tornata al Premio Roma nel 1973 con la sua compagnia. Aveva già partecipato all’edizione del 1970, ma la sua prima apparizione romana risale al 1963, quando fu tra i danzatori dello spettacolo di Zizi Jeanmaire, presentato con la compagnia di Roland Petit.
«Zizi Jeanmaire è ritornata a Roma per presentare in prima mondiale, nel quadro della settimana del balletto organizzata dal Teatro Club, il nuovo spettacolo che andrà in scena a Parigi il 15 dicembre. Nel pomeriggio ha interrotto le prove per una conferenza stampa e ha spiegato che, essendo questo il secondo anno di collaborazione fra il Théâtre National Populaire e la compagnia di balletti che fa capo a lei e al coreografo Roland Petit, spera che ormai possa considerarsi una bella abitudine. George Wilson, che ha preso il posto di Jean Vilar alla direzione del prestigioso complesso parigino, vede di buon occhio la cosa, quindi possiamo dire che Zizi e Petit ormai fanno parte della gloriosa compagnia». Estratto dell’articolo dal titolo Venere cambia pullover in un balletto gastronomico da «IL GIORNO», del 20 novembre 1963.
Zizi Jeanjeamarie partecipò a diverse rassegne del Teatro Club. La prima nel novembre del 1961, con lo spettacolo Alhambra Music Hall, la seconda a cui si riferisce l’articolo citato nel novembre del 1963 dal titolo Zizi Jeanmarie, infine durante la prima edizione del Premio Roma ’69 con Zizi Jeanmarie Show. Tutti spettacoli nati all’interno della compagnia diretta da Roland Petit, Ballets de Paris. «Non si tratta di uno spettacolo di balletto puro e semplice – ha spiegato la Jeanmaire – ma di un vero Zizi-show. Tutto lo spettacolo si basa su di me… la prima parte è riservata a balletti vecchi e nuovi, la seconda al “Tour de chant”… Potrei dire che lo spettacolo che presenteremo è un musical raffinato… oh, j’adore ça!». Il pezzo forte della prima parte sarà il nuovo balletto intitolato Les gourmandises, cioè le ghiottonerie, su musica di Michel Mention. «Dura venti minuti – dice Zizi – vedrete danzare tutti i piatti più appetitosi. Vi servirò per esempio delle “Quaglie farcite”, rappresentate da un gruppo di girls, poi un “Negro in camicia”, preceduto da antipasti, contorni e tutto quello che ci vuole in casi del genere. I camerieri saranno trenta danzatori fra cui alcune splendide ragazze». Nessun balletto classico? «Sì – ha risposto Zizi – un “Pas de quatre”, su musica di Vivaldi… e gli ormai famosi Trúc en plumes, e Eh, l’amour!, che, pur essendo modernissimi, ormai hanno una loro classicità». Estratto dell’articolo dal titolo Venere cambia pullover in un balletto gastronomico da «IL GIORNO», del 20 novembre 1963 che fa parte del libretto di sala.
Bozzetto di Nathalie d’Arbeloff per il manifesto dello spettacolo di Moiseev presentato al Palazzetto dello Sport, “Palaeur”, Roma, 23-30 ottobre 1961.
La storia di questa strabiliante compagnia comincia nel lontano 1936 allorché si tenne a Mosca il Festival dei popoli più disparati dell’Unione Sovietica, dai Cosacchi ai Mongoli, dagli Ukraini ai Tartari ai Georgiani, si esibirono nelle pubbliche piazze e nei teatri in una fantasmagoria di danze, di musiche, di canti della loro terra. Un’immagine senza precedenti di quel crogiuolo di popoli che l’U.R.S.S., un’immagine che fece balenare un’idea geniale nella mente di un giovane coreografo e ballerino del grande teatro Bolsoj: Igor Moiseev. Egli cercò febbrilmente tra le centinaia di artisti e dilettanti giunti da ogni repubblica dell’U.R.S.S. gli elementi migliori e raccolse il nucleo di quella che sarebbe diventata in breve tempo la più grande compagnia di danza folclorica del mondo. Moiseev, ricco dell’impeccabile tradizione accademica del balletto classico russo (dedicò la sua vita e il suo genio di uomo di teatro allo studio e all’elaborazione del patrimonio di danze popolari di tutti i popoli dell’U.R.S.S. Attraverso la danza, il carattere e il cuore stesso dell’antica Russia e della giovane Unione di Repubbliche Sovietiche; un mondo intero di contadini, di partigiani, di soldati, di marinai, di ragazze e ragazzi belli, giovani ed entusiasti, si avvicendano dinanzi ai nostri occhi in un carosello impetuoso di danza e di colori. Dagli appunti preparatori del Teatro Club della stagione 1962.
[…] Questa arte andalusa sfugge per la magia – il duende diceva García Lorca – di questi perpetui innovatori che sono gli interpreti del Flamenco. L’Antologia del Flamenco è l’espressione di una realtà popolare, che tocca sia i problemi sociali che i problemi individuali, e che trova nei suoi colpi di martello sull’incudine, nel trotto di un mulo, nei tamburi della Settimana Santa, nella chitarra, e nel semplice battere delle palme, gli elementi sufficienti alla sua espressione. Dal libretto di sala José Monleon
Allievo di maestri di Siviglia e Madrid, José De La Vega aveva danzato con successo nei Balletti di Pilar López prima di fondare la propria compagnia. Per gli spagnoli rappresentava la danza popolare nazionale, con coreografie fedeli alla tradizione. Lorca e Il flamenco Teatro Eliseo 10-23 febbraio 1964.
«Non pensavamo mai di vedere in Europa questi vagabondi, corridori delle boscaglie australiane. Invece è un avvenimento assolutamente sensazionale, un gruppo, esiguo ma splendido, per la prima volta in Italia e in Europa(...). Sono danze brevissime: appena ne sei incantato sono già finite. Preparano i passi. C’è una lieve avanzata verso un punto, (che per caso, siamo noi, gli spettatori). Poi c’è lo scatto: un guizzo assolutamente meraviglioso. [...]Si voltano e tornano al loro tappetino di juta». Gerardo Guerrieri, Il Teatro in contropiede. Cronache e scritti teatrali 1974-1981, c.c. di S. Chinzari, Bulzoni, pp-699-700.
Scene tratte dallo spettacolo Danze tribali e totemiche 3-5 novembre 1981, Aula Magna, Università Sapienza di Roma.
Scramble - Canfield -How to pass kick fall and run, tra gli spettacoli presentati a Roma, da Merce Cunnigham, è uno dei capitoli più significativi della sua collaborazione con il musicista John Cage, convinti entrambi che danza e musica devono essere in grado di esistere contemporaneamente, ma in modo indipendente. I movimenti continui dei danzatori, ispirati a immagini di sport e giochi, erano eseguiti con la musica di Cage che leggeva ad alta voce alcune sue storie tratte dall’opera Silence, a Year from Monday. Scramble - Canfield -How to pass kick fall and run Roma, Teatro Sistina, 22 aprile 1969 Rainforest- Winter-Branche – Walkaround Time Roma Teatro Sistina 23 aprile 1969
Ladislav Fialka, danzatore e poi allievo di Jean Baptiste Debureau, nel 1958 aveva partecipato a Praga alla fondazione del teatro Divadlo na zábradlí ("Teatro sulla ringhiera"). Ispirato dall'arte di Marcel Marceau, che aveva incontrato a Parigi, e da Jean Louis Barrault, Fialka aveva rivissuto la tradizione dei pierrots creando Knoflick bouton, un tipo di clown bianco protagonista di pantomime in cui, mescolando umorismo, nonsense, canzoni da fiera e da cabaret, dava vita a storie poetiche e di arguta critica della vita contemporanea.
Ladislav Fialka con la compagnia di pantomima Divadlo na Zabradli venne durante la prima edizione del Premio Roma presentando Il Bottone, Roma, Teatro Sistina, 28 aprile 1969 e Il piccolo circo e altre invenzioni. Studi e variazioni, al teatro Sistina, il 29 aprile 1969. Premio Roma.
Maurice Sonar Senghor, allievo del Centre Artistique International Dramatique e del Cours d'Art Dramatique du Vieux Colombier di Parigi, è stato il primo regista teatrale dell'Africa subsahariana. Nel 1964 era stato nominato direttore del Teatro Nazionale del Senegal.
La creazione dell'Ensemble National Du Senegal è stata il risultato di un lungo studio. Seimila chilometri di pista percorsi in dodici settimane, duecento villaggi visitati, più di duemila cantanti e danzatori visti all'opera, trecentocinquanta metri di film di danze rituali, più di 20 ore di registrazioni di musiche e canti di tutte le regioni del Senegal. I quarantacinque artisti che costituiscono la compagnia esprimono sia la tradizione, sia le aspirazioni, sia le preoccupazioni del popolo Senegalese. Si tratta di un affresco della vita, inseparabile dalle espressioni artistiche dei Senegalesi. Maurice Sonar Senghor, estratti dal materiale preparatorio della stagione.
Gallery 2: Di Là dal Mare
Scena tratta da Funabenkei di Kanze Kojirõ Nobomitsu, di Kanze Kai di Tokio compagnia di Teatro Nõ diretta da Bunzo Koto. Roma Teatro Quirino, 14 settembre 1965.
Ricordo di uno spettatore Ferruccio Marotti
L’ingresso dei teatri asiatici nel Teatro Club avviene per la prima volta nel 1965 con lo spettacolo di Teatro Noh e Kabuki della compagnia Kanze Kai di Tokyo. Nel giro di pochi anni, si esibiscono, tra gli altri, il teatro d’ombre della Malesia, il Wayang Kulit, la compagnia di danzatori balinesi diretta da I Madè Djimat, il complesso di Gamelan Gong Tjarman Wati, la leggenda balinese della “Strega di Dirah” ad opera del danzatore Kusumo Sardono, la Compagnia di Bunraku del Teatro Asahi-Za di Osaka. Per cogliere il senso della scoperta dei teatri asiatici offerto allora dal Teatro Club, vi lasciamo al racconto di un testimone d’eccezione, Ferruccio Marotti.
Gallery 3: L’Arte dell’attore
Eleonora Duse nel ruolo di Anna e Bianca Maria, in “La città morta di Gabriele D’Annunzio
La rifondazione dei saperi dell’attore, oltre il guscio delle professioni, delle tecniche e delle culture teatrali, era uno degli emblemi dei mutamenti del teatro nel Novecento di cui Guerrieri fu precocemente consapevole. Le dimostrazioni di lavoro, i workshop, le “lezioni”, modalità allora inedite, proposte dal Teatro Club nascevano dalla volontà di mostrare l’attore alla ricerca di un incontro con sé stesso
In occasione del centenario della nascita di Eleonora Duse il 3 ottobre 1958 al Teatro Quirino va in scena Immagini e tempi di Eleonora Duse, uno spettacolo in forma di recital con la regia di Visconti e il testo di Gerardo Guerrieri. Qualche tempo, dopo, tra il 5-7 novembre dello stesso anno in collaborazione con Centro Sperimentale di Cinematografia ha luogo il convegno dal titolo L’eredità di Eleonora Duse, con interventi di intellettuali e studiosi autorevoli tra cui Edward Gordon Craig, Nicola Chiaromonte, Orazio Costa, Raul Radice, Mario Apollonio, Carlo Bo, Achille Fiocco, Vito Pandolfi e Adriano Magli.
In foto Giorgio De Lullo, Vittorio Gassman e Gerardo Guerrieri in Immagini e Tempi di Eleonora Duse.
Katherine Dunham, danzatrice, coreografa e antropologa aveva unito i movimenti esplorati nelle danze di Haiti, dell’Africa occidentale e dei divari gruppi etnici brasiliani a quelli della danza moderna. Da una immersione totale nelle culture locali aveva postulato la necessità di sperimentare sul corpo del ricercatore le pratiche coreutiche studiate. I segreti della danza, Roma teatro Parioli, 7-8 aprile 1960.
Frontespizio del programma di sala Roma, Teatro Quirino. 12 dicembre 1957Eli Wallach era stato uno dei primi celebri partecipanti alle lezioni dell’Actor’s studio, inaugurate nel 1947. Nato con l’obiettivo di offrire agli attori uno spazio per esplorare i propri strumenti espressivi, dal 1951 era diretto da Lee Strasberg. In Italia in quegli anni la sua versione del “metodo “di Stanislavskij era circondata da ironia e fastidio. Quella di Guerrieri fu a suo modo una sfida, consapevole che non solo Strasberg, ma anche Stanislavskij fossero soggetti a fraintendimenti e conoscenze ancora frammentarie. Il recital era stato introdotto da Anna Magnani che aveva conosciuto a Broadway l’attrice Anne Jackson, moglie di Wallach, anch’essa uscita dall’Actor’s Studio.Una lezione dell’Actor’s Studio Roma, Teatro Quirino. 12 dicembre 1957.
Frontespizio del libretto di sala«Non è propriamente uno spettacolo di mimo, poiché l’uso della parola è accettato. È un panorama delle possibilità offerte dal mimo, un ventaglio aperto verso stili diversi, verso la possibilità di un teatro completo».
Quando nel 1959 viene la prima volta Teatro Club aveva aperto da tre anni a Parigi la sua scuola, il luogo della sua vocazione teatrale: “Il movimento, portato dal corpo umano, è la nostra costante guida in questo viaggio dalla vita al teatro». In quello stesso anno aveva fondato una compagnia con cui realizza quella una dimostrazione di lavoro in forma di spettacolo, Carnet de voyage, dedicata alle «differenti direzioni di un mimo aperto al teatro e alla danza». (Jacques Lecoq) Carnet de Voyage, Roma, Teatro Quirino, 26 marzo 1959.
«Questi due interpreti ormai leggendari che hanno saputo fare dell’esperienza teatrale un’avventura entusiasmante e perennemente sulla cresta di un’onda coraggiosa e poetica, si ritrovano ora insieme al Premio Roma per presentare in prima mondiale assoluta lo spettacolo-recital LA VIE OFFERTE (La vita ci è offerta, sta a noi offrirla a nostra volta) in cui si è concentrata tutta la brillante esperienza di questi ultimi anni, dopo i fatti del maggio 1968, che hanno ridato a questi due attori giovinezza, il gusto del rischio, l’allegria nell’affrontarlo, la inesauribile spinta a spendere la vita fino all’ultimo soldo sull’unico piano ammissibile, quello della felicità creativa». Dal materiale preparatorio della stagione.
Scene da La vie Offerte con Jean-Louis Barrault e Madeleine Renaud, al Teatro Eliseo 12,13,14 maggio 1971, foto di Tommaso le Pera.
In occasione del centenario della nascita di Eleonora Duse il 3 ottobre 1958 al Teatro Quirino va in scena Immagini e tempi di Eleonora Duse, uno spettacolo in forma di recital con la regia di Visconti e il testo di Gerardo Guerrieri. Qualche tempo, dopo, tra il 5-7 novembre dello stesso anno in collaborazione con Centro Sperimentale di Cinematografia ha luogo il convegno dal titolo L’eredità di Eleonora Duse, con interventi di intellettuali e studiosi autorevoli tra cui Edward Gordon Craig, Nicola Chiaromonte, Orazio Costa, Raul Radice, Mario Apollonio, Carlo Bo, Achille Fiocco, Vito Pandolfi e Adriano Magli.
In foto Giorgio De Lullo, Vittorio Gassman e Gerardo Guerrieri in Immagini e Tempi di Eleonora Duse.
Katherine Dunham, danzatrice, coreografa e antropologa aveva unito i movimenti esplorati nelle danze di Haiti, dell’Africa occidentale e dei divari gruppi etnici brasiliani a quelli della danza moderna. Da una immersione totale nelle culture locali aveva postulato la necessità di sperimentare sul corpo del ricercatore le pratiche coreutiche studiate. I segreti della danza, Roma teatro Parioli, 7-8 aprile 1960.
Eli Wallach era stato uno dei primi celebri partecipanti alle lezioni dell’Actor’s studio, inaugurate nel 1947. Nato con l’obiettivo di offrire agli attori uno spazio per esplorare i propri strumenti espressivi, dal 1951 era diretto da Lee Strasberg. In Italia in quegli anni la sua versione del “metodo “di Stanislavskij era circondata da ironia e fastidio. Quella di Guerrieri fu a suo modo una sfida, consapevole che non solo Strasberg, ma anche Stanislavskij fossero soggetti a fraintendimenti e conoscenze ancora frammentarie. Il recital era stato introdotto da Anna Magnani che aveva conosciuto a Broadway l’attrice Anne Jackson, moglie di Wallach, anch’essa uscita dall’Actor’s Studio.
«Non è propriamente uno spettacolo di mimo, poiché l’uso della parola è accettato. È un panorama delle possibilità offerte dal mimo, un ventaglio aperto verso stili diversi, verso la possibilità di un teatro completo».
Quando nel 1959 viene la prima volta Teatro Club aveva aperto da tre anni a Parigi la sua scuola, il luogo della sua vocazione teatrale: “Il movimento, portato dal corpo umano, è la nostra costante guida in questo viaggio dalla vita al teatro». In quello stesso anno aveva fondato una compagnia con cui realizza quella una dimostrazione di lavoro in forma di spettacolo, Carnet de voyage, dedicata alle «differenti direzioni di un mimo aperto al teatro e alla danza». (Jacques Lecoq)
«Questi due interpreti ormai leggendari che hanno saputo fare dell’esperienza teatrale un’avventura entusiasmante e perennemente sulla cresta di un’onda coraggiosa e poetica, si ritrovano ora insieme al Premio Roma per presentare in prima mondiale assoluta lo spettacolo-recital LA VIE OFFERTE (La vita ci è offerta, sta a noi offrirla a nostra volta) in cui si è concentrata tutta la brillante esperienza di questi ultimi anni, dopo i fatti del maggio 1968, che hanno ridato a questi due attori giovinezza, il gusto del rischio, l’allegria nell’affrontarlo, la inesauribile spinta a spendere la vita fino all’ultimo soldo sull’unico piano ammissibile, quello della felicità creativa». Dal materiale preparatorio della stagione.
Scene da La vie Offerte con Jean-Louis Barrault e Madeleine Renaud, al Teatro Eliseo 12,13,14 maggio 1971, foto di Tommaso le Pera.
Gallery 4: Pantheon del Teatro Club
Jerome Savary e la sua compagnia con Gerardo Guerrieri, Villa Medici, fotografia di Tommaso Le Pera 1972.
Nel “Pantheon” abbiamo scelto di mostrarvi alcuni degli spettacoli che hanno contrassegnato la memorabilità̀ di alcuni anni della vita del Teatro Club e, quando è stato possibile, alcuni documenti che ne accompagnavano la presentazione.
Frontespizio del libretto di sala, Teatrologia di Molière, Roma, Teatro Argentina, 25-28 settembre 1978Antoine Vitez aveva fuso in un’unica commedia La scuola delle mogli, Tartufo Don Giovanni, Misantropo: «Un'unica commedia, un gran ritratto di Molière, la storia (forse, dice Vitez) di uno stesso uomo di una stessa donna e insieme un immenso collage di improvvisazione gestuali su personaggi improvvisamente rivisti con occhio nuovo, personaggi che i francesi conoscono talmente a memoria da addormentarci si sopra(...). Ne vien fuori un Molière bollente ed esplosivo in cui il ragionamento è sempre sopraffatto e sommerso da una passionalità furibonda». Gerardo Guerrieri, Il teatro in contropiede, Cronache e scritti teatrali 1974-1981, c.c. di S. Chinzari, Bulzoni, pp. 508-510.
… Io sono, probabilmente, più metafisico che sociologo. C’è, in Jouvet, un rapporto con la metafisica che io stesso cerco di ritrovare … Jouvet è stato l’ultimo autore dell’epoca antica e il primo della nuova. Con Jouvet, si entra in un’epoca in cui la rappresentazione diventa un’opera, una costruzione di carattere romanzesco, chiusa, splendida. … Nel Misantropo io vedo tutto quello che si può dire sugli aristocratici, sul secolo di Luigi XIV e la conduzione degli affari politici. Ma allo stesso tempo, scorgo la rappresentazione primitiva. Si può comparare con gli Elisabettiani, ma da parte mia ci vedo bene la Francia e l’Italia. È una sorta di Mistero con delle allegorie. (Tratto da un’intervista ad Antoine Vitez)
La Compagnie des Griots (Trovatori”) è la prima compagnia in Francia ad essere composta interamente da attori africani e caraibici. Per la creazione di Les nègres di Jean Genet, altri attori si unirono alla troupe sotto la guida di Roger Blin a cui Genet si era affidato dopo aver rinunciato a curare personalmente la regia. «Les négres è un atto d'amore poetico. Per i Neri sì, ma, attraverso i Neri, per i reprobi di ogni sorta; e, attraverso i reprobi, semplicemente per gli «altri», i diversi da noi, gli irraggiungibili e incomprensibili «altri» tali quali sono, con la loro difformità, le loro passioni, il loro dolore chiuso, l’incalcolabile distanza che li separa da noi e l'infinita somiglianza che li lega a noi tutti». (Nicola Chiaromonte, spettatore a Roma, in Scritti sul teatro, Einaudi, p. 83).Les Nègres Roma Teatro Parioli, 29 febbraio -1 marzo 1960.
«Per restate fedele a Rabelais e darne un ritratto che abbia molte probabilità di rassomigliargli, occorreva che l’impresa fosse folle. Bisognava farlo nella sua totalità. Bisognava estrarre uno spettacolo dai suoi cinque libri, dalle sue lettere, dalle sue pronosticazioni: dalla sua opera intera». Estratti da Jean-Louis Barrault, appunti preparatori alla stagione.
Una scena tratta dal Rabelais di Jean-Louis Barrault andato in scena al Circo Medini di Villa Medici nell’aprile del 1970 (Premio Roma) La fotografia di Tommaso Le Pera è conservata nel Fondo Teatro Club, Biblioteca Statale Biblioteca “Antonio Baldini”.
«Così come mentre parli puoi allo stesso tempo ascoltare, così mentre vedi una cosa puoi sentirne un’altra, lo spettacolo è prima di tutto il tentativo di portare al massimo questa distanza tra l'immagine e l'ascolto». Esplorando i confini fra danza e teatro, teatro in musica e creazione di spazi scenici d'indimenticabile densità, con queste parole Bob Wilson riassumeva il suo tragitto artistico inaugurato da Deafman Glance (Lo sguardo del sordo) ospite del Teatro Club nel 1971, un’opera del silenzio in cui aveva chiesto agli attori «di ascoltare tutto il tempo».
Scena da Deafman Glance (Lo sguardo del sordo) di Robert (Bob Wilson), Teatro Eliseo, Roma, 27 aprile 1971, Premio Roma. Fotografia di Tommaso Le Pera. Fu uno spettacolo lunghissimo. Cominciarono allora a diventare famosi i tempi scenici interminabili di Bob Wilson. Con esso lo spettatore era sottoposto a una specie di “teatro ipnosi”, era irresistibilmente portato a dormire(...): ma il bello era che qui faceva parte dell’esperienza: lo spettatore si risvegliava più lucido in uno stato di ricettività̀ più̀ acuta, quasi liberato e nello stesso tempo risvegliandosi si trovava a vivere nel sogno. Appunti di Gerardo Guerrieri, Archivio Guerrieri, Teatro Anglo Americano 2 / cart.5/2 Sapienza Università di Roma.
Frontespizio Amleto, Roma Teatro Eliseo, 5 aprile 1966 Teatro della crudeltà è un collage, una specie di rivista surrealista composta di spari nel buio, di spari su bersagli lontani. Non è tanto un programma di testi: non abbiamo cercato di presentare nuove forme di scritture teatrali, ma intendiamo esplorare il linguaggio teatrale: questo esperimento non è essenzialmente letterario. Abbiamo pensato che esistano problemi tecnici dell’espressione teatrale e che certe risorse essenziali del teatro vengano generalmente trascurate. Abbiamo radunato un gruppo di attori e di attrici e ci siamo messi a studiare questi problemi. Noi speriamo che la nostra stagione possa offrire quelle possibilità di esperimenti, di tentativi anche sbagliati, di cui godono il poeta, il romanziere, il pittore e persino il drammaturgo, ma che il teatro, per l’ossessione del botteghino e per le richieste di prodotti spettacolari «finiti», permette solo raramente agli attori e ai registi. Secondo questo spirito abbiamo affrontato la più grande delle opere sperimentali: Amleto. Estratto del Manifesto di Peter Brook e Charles Marowitz per il programma dell’originario Royal Shakespeare Experimental – Group. Amleto, Roma Teatro Eliseo, 5 aprile 1966.
Prima pagina del libretto di sala Teatro della crudeltà è un collage, una specie di rivista surrealista composta di spari nel buio, di spari su bersagli lontani. Non è tanto un programma di testi: non abbiamo cercato di presentare nuove forme di scritture teatrali, ma intendiamo esplorare il linguaggio teatrale: questo esperimento non è essenzialmente letterario. Abbiamo pensato che esistano problemi tecnici dell’espressione teatrale e che certe risorse essenziali del teatro vengano generalmente trascurate. Abbiamo radunato un gruppo di attori e di attrici e ci siamo messi a studiare questi problemi. Noi speriamo che la nostra stagione possa offrire quelle possibilità di esperimenti, di tentativi anche sbagliati, di cui godono il poeta, il romanziere, il pittore e persino il drammaturgo, ma che il teatro, per l’ossessione del botteghino e per le richieste di prodotti spettacolari «finiti», permette solo raramente agli attori e ai registi. Secondo questo spirito abbiamo affrontato la più grande delle opere sperimentali: Amleto. Estratto del Manifesto di Peter Brook e Charles Marowitz per il programma dell’originario Royal Shakespeare Experimental – Group. Amleto, Roma Teatro Eliseo, 5 aprile 1966.
In questa nuova versione di Charles Marowitz, la rovina di Macbeth è raccontata come l’effetto di una Magia Nera: un uomo colpito da un incantesimo diabolico, implacabile che non ha altra alternativa che portare a termine la maledizione che gli è caduta addosso. La tragedia di Macbeth non sta nel suo destino, ma nella pressione malvagia esercitata su una natura ingenua e priva di complicazioni. Lasciato a sé stesso, sarebbe più che soddisfatto di continuare la sua carriera di soldato percorrendo una comoda via verso il grado di generale e, qui, al riparo delle battaglie, poter scivolare pian piano in una confortevole vecchiaia. Come un uomo che ignori la malattia che inesorabilmente lo consuma, Macbeth s’infuria contro i suoi i sintomi ma senza scoprire mai la causa. (Estratti ricavati dal programma di sala)
Il Macbeth nell’adattamento di Marowitz andò in scena al Teatro Eliseo dal 19-21 maggio 1970, Premio Roma. Fotografia di Tommaso Le Pera.
«L’allusione del titolo a ROBINSON CRUSOE non è che un pretesto. A poco a poco si parla di tutto salvo che del famoso eremita di Defoe. Il proposito non è di rappresentare una storia né di trarne una lezione, ma di sacrificarle alla sola gioia di parodiare generi superati come l’opera, l’operetta, i music hall, il circo di campagna o lo striptease. In una successione delirante di fumettoni alla rinfusa, sono parodie enormi, gesta eroico comiche, “finali” da strapazzo, slogan in liquidazione come il culto dell’uomo bianco o della morte alla guerra».
Le Grand Magic Circus di Parigi diretta da Jérôme Savary presentò il Robinson Crusoe al Circo Demar nel Giardino di Villa Medici dal 26 maggio al1 giugno 1972.
Descrizione: La rappresentazione di Kurka Wodna (La gallinella acquatica) aveva lasciato smarriti e perplessi gli spettatori, indecisi se ad essere fuori posto fosse lo spettacolo o il luogo che lo accoglieva: «Una troupe di viandanti molto poveri che avesse deciso di recitare, ma che oltre a questa trama ne avesse una propria più importante è ben più interessane», racconterà in seguito Kantor a proposito della genesi dello spettacolo. Scena tratta da Kurka Wodna (La gallinella acquatica), 2-3 maggio 1969, Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Nabodnisie i Koczodany (Le bellocce e i cercopitechi) si svolgeva in un guardaroba dove gli spettatori lasciavano gli abiti attraverso un preciso cerimoniale controllato da due attori mentre gli altri, da un ingresso molto visibile, venivano buttati in scena dai due guardarobieri recitando solo «i resti dei loro ruoli che gli attori accecati dalla luce, circondati dagli spettatori sembrarono espellere come qualcosa di molto vergognoso», ricorderà ancora Kantor. Scena tratta da Nabodnisie i Koczodany (Le bellocce e i cercopitechi) 9-14 maggio 1974, Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Peter Brook. Fotografia di Nicolas Treatt conservata presso il fondo del Teatro Club, Biblioteca Statale Antonio Baldini di Roma.
Una scena di La conference des oiseaux Peter Brook arriva a Roma dopo anni di viaggi e vagabondaggi per allontanarsi dalla nozione tradizionale di compagnia teatrale e formare un organismo nomade, «un microcosmo fondato sulle differenze, un mondo in scala ridotta» (Brook). Lo spettacolo La conferenza degli uccelli era stato recitato per frammenti nella savana africana, con i Chicanos della California, con gli indiani d’America, nelle periferie di parigine, in un parco di Brooklyn.
18 Una scena di La conference des oiseaux «Il poema sufi La conferenza degli uccelli narra di un uomo che piange lacrime sincere di rimorso, ma le lacrime toccando terra si trasformano in pietre. Egli le raccoglie perché confonde la loro bellezza glaciale con il sentimento che provava nel pianto. Ho sempre pensato che in questa favola fosse racchiusa tutta la storia delle religioni e delle tradizioni così come quella dell’arte, della scrittura, del teatro, della vita». (Peter Brook, I fili del tempo. Memoria di una vita, Feltrinelli, pp.119-120). La conference des oiseaux, Spazio teatro via Sabotino 19-20 settembre 1979, Teatro Parioli 21-26 settembre 1979.
Frontespizio del libretto di sala, Teatrologia di Molière, Roma, Teatro Argentina, 25-28 settembre 1978Antoine Vitez aveva fuso in un’unica commedia La scuola delle mogli, Tartufo Don Giovanni, Misantropo: «Un'unica commedia, un gran ritratto di Molière, la storia (forse, dice Vitez) di uno stesso uomo di una stessa donna e insieme un immenso collage di improvvisazione gestuali su personaggi improvvisamente rivisti con occhio nuovo, personaggi che i francesi conoscono talmente a memoria da addormentarci si sopra(...). Ne vien fuori un Molière bollente ed esplosivo in cui il ragionamento è sempre sopraffatto e sommerso da una passionalità furibonda». Gerardo Guerrieri, Il teatro in contropiede, Cronache e scritti teatrali 1974-1981, c.c. di S. Chinzari, Bulzoni, pp. 508-510.
… Io sono, probabilmente, più metafisico che sociologo. C’è, in Jouvet, un rapporto con la metafisica che io stesso cerco di ritrovare … Jouvet è stato l’ultimo autore dell’epoca antica e il primo della nuova. Con Jouvet, si entra in un’epoca in cui la rappresentazione diventa un’opera, una costruzione di carattere romanzesco, chiusa, splendida. … Nel Misantropo io vedo tutto quello che si può dire sugli aristocratici, sul secolo di Luigi XIV e la conduzione degli affari politici. Ma allo stesso tempo, scorgo la rappresentazione primitiva. Si può comparare con gli Elisabettiani, ma da parte mia ci vedo bene la Francia e l’Italia. È una sorta di Mistero con delle allegorie. (Tratto da un’intervista ad Antoine Vitez)
La Compagnie des Griots (Trovatori”) è la prima compagnia in Francia ad essere composta interamente da attori africani e caraibici. Per la creazione di Les nègres di Jean Genet, altri attori si unirono alla troupe sotto la guida di Roger Blin a cui Genet si era affidato dopo aver rinunciato a curare personalmente la regia. «Les négres è un atto d'amore poetico. Per i Neri sì, ma, attraverso i Neri, per i reprobi di ogni sorta; e, attraverso i reprobi, semplicemente per gli «altri», i diversi da noi, gli irraggiungibili e incomprensibili «altri» tali quali sono, con la loro difformità, le loro passioni, il loro dolore chiuso, l’incalcolabile distanza che li separa da noi e l'infinita somiglianza che li lega a noi tutti». (Nicola Chiaromonte, spettatore a Roma, in Scritti sul teatro, Einaudi, p. 83).Les Nègres Roma Teatro Parioli, 29 febbraio -1 marzo 1960.
«Per restate fedele a Rabelais e darne un ritratto che abbia molte probabilità di rassomigliargli, occorreva che l’impresa fosse folle. Bisognava farlo nella sua totalità. Bisognava estrarre uno spettacolo dai suoi cinque libri, dalle sue lettere, dalle sue pronosticazioni: dalla sua opera intera». Estratti da Jean-Louis Barrault, appunti preparatori alla stagione.
Una scena tratta dal Rabelais di Jean-Louis Barrault andato in scena al Circo Medini di Villa Medici nell’aprile del 1970 (Premio Roma) La fotografia di Tommaso Le Pera è conservata nel Fondo Teatro Club, Biblioteca Statale Biblioteca “Antonio Baldini”.
«Così come mentre parli puoi allo stesso tempo ascoltare, così mentre vedi una cosa puoi sentirne un’altra, lo spettacolo è prima di tutto il tentativo di portare al massimo questa distanza tra l'immagine e l'ascolto». Esplorando i confini fra danza e teatro, teatro in musica e creazione di spazi scenici d'indimenticabile densità, con queste parole Bob Wilson riassumeva il suo tragitto artistico inaugurato da Deafman Glance (Lo sguardo del sordo) ospite del Teatro Club nel 1971, un’opera del silenzio in cui aveva chiesto agli attori «di ascoltare tutto il tempo».
Scena da Deafman Glance (Lo sguardo del sordo) di Robert (Bob Wilson), Teatro Eliseo, Roma, 27 aprile 1971, Premio Roma. Fotografia di Tommaso Le Pera. Fu uno spettacolo lunghissimo. Cominciarono allora a diventare famosi i tempi scenici interminabili di Bob Wilson. Con esso lo spettatore era sottoposto a una specie di “teatro ipnosi”, era irresistibilmente portato a dormire(...): ma il bello era che qui faceva parte dell’esperienza: lo spettatore si risvegliava più lucido in uno stato di ricettività̀ più̀ acuta, quasi liberato e nello stesso tempo risvegliandosi si trovava a vivere nel sogno. Appunti di Gerardo Guerrieri, Archivio Guerrieri, Teatro Anglo Americano 2 / cart.5/2 Sapienza Università di Roma.
Frontespizio Amleto, Roma Teatro Eliseo, 5 aprile 1966 Teatro della crudeltà è un collage, una specie di rivista surrealista composta di spari nel buio, di spari su bersagli lontani. Non è tanto un programma di testi: non abbiamo cercato di presentare nuove forme di scritture teatrali, ma intendiamo esplorare il linguaggio teatrale: questo esperimento non è essenzialmente letterario. Abbiamo pensato che esistano problemi tecnici dell’espressione teatrale e che certe risorse essenziali del teatro vengano generalmente trascurate. Abbiamo radunato un gruppo di attori e di attrici e ci siamo messi a studiare questi problemi. Noi speriamo che la nostra stagione possa offrire quelle possibilità di esperimenti, di tentativi anche sbagliati, di cui godono il poeta, il romanziere, il pittore e persino il drammaturgo, ma che il teatro, per l’ossessione del botteghino e per le richieste di prodotti spettacolari «finiti», permette solo raramente agli attori e ai registi. Secondo questo spirito abbiamo affrontato la più grande delle opere sperimentali: Amleto. Estratto del Manifesto di Peter Brook e Charles Marowitz per il programma dell’originario Royal Shakespeare Experimental – Group. Amleto, Roma Teatro Eliseo, 5 aprile 1966.
Prima pagina del libretto di sala Teatro della crudeltà è un collage, una specie di rivista surrealista composta di spari nel buio, di spari su bersagli lontani. Non è tanto un programma di testi: non abbiamo cercato di presentare nuove forme di scritture teatrali, ma intendiamo esplorare il linguaggio teatrale: questo esperimento non è essenzialmente letterario. Abbiamo pensato che esistano problemi tecnici dell’espressione teatrale e che certe risorse essenziali del teatro vengano generalmente trascurate. Abbiamo radunato un gruppo di attori e di attrici e ci siamo messi a studiare questi problemi. Noi speriamo che la nostra stagione possa offrire quelle possibilità di esperimenti, di tentativi anche sbagliati, di cui godono il poeta, il romanziere, il pittore e persino il drammaturgo, ma che il teatro, per l’ossessione del botteghino e per le richieste di prodotti spettacolari «finiti», permette solo raramente agli attori e ai registi. Secondo questo spirito abbiamo affrontato la più grande delle opere sperimentali: Amleto. Estratto del Manifesto di Peter Brook e Charles Marowitz per il programma dell’originario Royal Shakespeare Experimental – Group. Amleto, Roma Teatro Eliseo, 5 aprile 1966.
In questa nuova versione di Charles Marowitz, la rovina di Macbeth è raccontata come l’effetto di una Magia Nera: un uomo colpito da un incantesimo diabolico, implacabile che non ha altra alternativa che portare a termine la maledizione che gli è caduta addosso. La tragedia di Macbeth non sta nel suo destino, ma nella pressione malvagia esercitata su una natura ingenua e priva di complicazioni. Lasciato a sé stesso, sarebbe più che soddisfatto di continuare la sua carriera di soldato percorrendo una comoda via verso il grado di generale e, qui, al riparo delle battaglie, poter scivolare pian piano in una confortevole vecchiaia. Come un uomo che ignori la malattia che inesorabilmente lo consuma, Macbeth s’infuria contro i suoi i sintomi ma senza scoprire mai la causa. (Estratti ricavati dal programma di sala)
Il Macbeth nell’adattamento di Marowitz andò in scena al Teatro Eliseo dal 19-21 maggio 1970, Premio Roma. Fotografia di Tommaso Le Pera.
«L’allusione del titolo a ROBINSON CRUSOE non è che un pretesto. A poco a poco si parla di tutto salvo che del famoso eremita di Defoe. Il proposito non è di rappresentare una storia né di trarne una lezione, ma di sacrificarle alla sola gioia di parodiare generi superati come l’opera, l’operetta, i music hall, il circo di campagna o lo striptease. In una successione delirante di fumettoni alla rinfusa, sono parodie enormi, gesta eroico comiche, “finali” da strapazzo, slogan in liquidazione come il culto dell’uomo bianco o della morte alla guerra».
Le Grand Magic Circus di Parigi diretta da Jérôme Savary presentò il Robinson Crusoe al Circo Demar nel Giardino di Villa Medici dal 26 maggio al1 giugno 1972.
Descrizione: La rappresentazione di Kurka Wodna (La gallinella acquatica) aveva lasciato smarriti e perplessi gli spettatori, indecisi se ad essere fuori posto fosse lo spettacolo o il luogo che lo accoglieva: «Una troupe di viandanti molto poveri che avesse deciso di recitare, ma che oltre a questa trama ne avesse una propria più importante è ben più interessane», racconterà in seguito Kantor a proposito della genesi dello spettacolo. Scena tratta da Kurka Wodna (La gallinella acquatica), 2-3 maggio 1969, Galleria Nazionale d’Arte Moderna.
Nabodnisie i Koczodany (Le bellocce e i cercopitechi) si svolgeva in un guardaroba dove gli spettatori lasciavano gli abiti attraverso un preciso cerimoniale controllato da due attori mentre gli altri, da un ingresso molto visibile, venivano buttati in scena dai due guardarobieri recitando solo «i resti dei loro ruoli che gli attori accecati dalla luce, circondati dagli spettatori sembrarono espellere come qualcosa di molto vergognoso», ricorderà ancora Kantor. Scena tratta da Nabodnisie i Koczodany (Le bellocce e i cercopitechi) 9-14 maggio 1974, Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.
Peter Brook. Fotografia di Nicolas Treatt conservata presso il fondo del Teatro Club, Biblioteca Statale Antonio Baldini di Roma.
Una scena di La conference des oiseaux Peter Brook arriva a Roma dopo anni di viaggi e vagabondaggi per allontanarsi dalla nozione tradizionale di compagnia teatrale e formare un organismo nomade, «un microcosmo fondato sulle differenze, un mondo in scala ridotta» (Brook). Lo spettacolo La conferenza degli uccelli era stato recitato per frammenti nella savana africana, con i Chicanos della California, con gli indiani d’America, nelle periferie di parigine, in un parco di Brooklyn.
«Il poema sufi La conferenza degli uccelli narra di un uomo che piange lacrime sincere di rimorso, ma le lacrime toccando terra si trasformano in pietre. Egli le raccoglie perché confonde la loro bellezza glaciale con il sentimento che provava nel pianto. Ho sempre pensato che in questa favola fosse racchiusa tutta la storia delle religioni e delle tradizioni così come quella dell’arte, della scrittura, del teatro, della vita». (Peter Brook, I fili del tempo. Memoria di una vita, Feltrinelli, pp.119-120).