Associazione culturale Gerardo Guerrieri

Gerardo e Tommaso

di Marcantonio lucidi

Deafman Glance (L’occhio del sordo) di Robert (Bob) Wilson, compagnia Byrd Hoffman School of Byrds, Teatro Eliseo, Roma, 27 aprile 1971, fotografia di Tommaso Le Pera

La CAVERNA DEl TEATRO

La caverna del teatro italiano degli ultimi sei – sette decenni sta alla fine di una scala che si apre dietro il bancone di un negozio di fotografia, a Roma, sull’Appia nuova, a Largo dei Colli Albani. Si scende nello studio di Tommaso Le Pera che contiene un tesoro di alcuni milioni di scatti. Sono spettacoli teatrali, attori, registi, scenografie, costumi, luci e se si sta attenti, se si porge l’orecchio, dalle immagini in bianco e nero degli anni Sessanta, dal colore dei lustri successivi, si percepisce in lontananza, persino in fondo a Deafman glance (Lo sguardo del sordo) di Bob Wilson, qualche nota delle musiche di scena. Con le innumerevoli foto di Le Pera si potrebbe avvolgere l’orbe terracqueo – e Gerardo Guerrieri ne sarebbe certamente felice – per mostrare agli extraterrestri intenti a studiarci con i loro potenti cannocchiali che gli umani non solo guerre, bombe e stragi sanno fare ma anche qualcosa di buono. Il teatro, il pensiero sul teatro, le foto di teatro. Le foto sono il presente pietrificato.

Una storia di Istanbul, di Erol Günyadin, compagnia Teatro Dormen di Istanbul, Teatro Eliseo, Roma, 3 maggio 1971, fotografia di Tommaso Le Pera

Guerrieri, Le Pera e il nuovo di Deafman glance

Dentro questa grotta fotografica enorme, vi è una galleria che contiene gli esordi di Le Pera, le immagini degli spettacoli da lui fotografati per il Teatro Club, il centro internazionale di cultura teatrale fondato da Guerrieri nel 1957 assieme alla moglie Anne d’Arbeloff con l’intento di immettere corrente elettrica cosmopolita nella scena italiana. Per esempio Deafman glance che arrivò nel 1971 all’Eliseo per il Teatro Club (da quell’anno chiamato Premio Roma): Wilson raccontava di un adolescente diventato da bambino sordo e muto dopo avere sorpreso la sua balia mentre sgozzava due altri piccoli di cui aveva la custodia. Lo spettacolo avanzava lentamente per sette ore, lentezza che diverrà uno stile, una successione di quadri composti di immagini di bellezza insolita, ossessive spesso, mentali e oniriche che stravolgevano la percezione dello spazio e del tempo teatrali, aprendo all’espressione poetica un mondo interiore in cui il linguaggio aveva perso il suo primato. Straordinaria macchina di libertà, come la chiamò Louis Aragon. Fu accolta per quel che sembrava, una rivoluzione della rappresentazione teatrale. Il mondo di un bambino sordo si apriva come una bocca senza parole, il linguaggio verbale veniva sostituito dal movimento. Questa opera silenziosa indicava agli artisti della scena italiani la strada del teatro immagine che ha rappresentato il grande moto della sperimentazione nazionale, in particolare della scuola romana.

Jean-Louis Barrault con gli attori della compagnia, in Rabelais, di Jean-Louis Barrault, Circo Medini – Giardini di Villa Medici, Roma, 21 aprile 1970, fotografia di Tommaso Le Pera

Tommaso Le Pera si trovò in quegli anni dentro la rivoluzione della scena, in mezzo alla rivolta dell’immagine che Gerardo Guerrieri portava in Italia. Mentre scattava, Le Pera si rendeva conto d’aver catturato il nuovo? Nessun artista conosce la propria posizione nella Storia. Non sa cosa sta facendo, sa solo che lo sta facendo. Gerardo oltreché artista (regista, drammaturgo, sceneggiatore, traduttore) era anche un intellettuale, critico teatrale e saggista. E come studioso vedeva la posizione degli altri nella Storia: “Nel ’71 l’avvenimento è l’arrivo di Bob Wilson da Nancy al Premio Roma. La cronologia si chiude col suo Einstein a Venezia (del ’76). La sua influenza è determinante e stimolante per gli anni ’70 quanto lo fu quella del Living negli anni ’60”. (G. Guerrieri, Avanguardia e sperimentazione in Italia, in Lo spettatore critico, Valerio Levi editore, Roma, 1987, p. 241).

Prometheus di Julian Beck e del Living Theatre, Teatro Argentina, Roma, 30 settembre 1978, fotografia di Tommaso Le Pera

Il ragazzo che faceva il proiezionista

Il Living Theatre di New York arrivò per la prima volta a Roma nel 1961 grazie al Teatro Club che del gruppo di Judith Malina e Julian Beck presentò al teatro Parioli The connection di Jack Gelber e Many Loves di William Carlos Williams. Nella grotta di Largo dei Colli Albani non ci sono foto di quei giorni, il giovane Le Pera non era ancora arrivato a Roma da Sersale, il suo paese di nascita in provincia di Catanzaro. Si stava impratichendo nel negozio di fotografia del padre e dello zio e tanta dimestichezza ricavò da diventare una firma della prestigiosa rivista “Fotografare”. Una perizia tecnica che affascinava Guerrieri sempre intento a chiedere, studiare, capire: e che pellicola usi? E quale sensibilità? E il tempo di esposizione? E l’apertura del diaframma?

A Sersale la famiglia gestiva un cinema, il ragazzo faceva il proiezionista quindi – gli adolescenti sono così – gli venne l’amore per il teatro, che poi non è mai un semplice amore, piuttosto un’ossessione, una possessione, primo tratto in comune fra Tommaso e Gerardo. A vent’anni. il fotografo esordiente arrivò a Roma, aprì il laboratorio e prese a imbucarsi nei teatri per scattare di nascosto. I teatri sono vascelli, il giovane faceva il clandestino e non poteva lavorare con gli attori in posa, come s’usava all’epoca, ma solo fermarli in movimento – che sarebbe un ossimoro, fermo in movimento come luce oscura e festina lente, affrettati lentamente. Allora per fare di necessità virtù, inventò la fotografia di scena dinamica, che non è un ossimoro, piuttosto un paradosso. L’arte nasce sempre ponendo una difficoltà da superare, da scavalcare e cavalcare, l’endecasillabo in poesia, il moto nella fotografia.

Le Pera si nascondeva all’Eliseo in prima balconata a fotografare Eduardo e poi timidissimo gli portava le stampe perché Luca, il figlio del grande capocomico, lo esortava: “Vai, vai fagli vedere le foto”. Ed Eduardo le prendeva. Il clandestino cominciò a farsi conoscere dagli equipaggi delle navi teatrali, le foto sono belle, nuove, moderne, fin quando Gerardo e Anne gli dettero libero accesso agli spettacoli del Teatro Club. Aveva mancato Judith Malina e Julian Beck nel ’61 ma ora eccoli nel ’78 per il Prometheus al teatro Argentina.  L’immagine non è in posa ma dinamica con Julian dietro un gruppo di attori, il viso ossuto e le mani alzate con i palmi aperti in vista, mentre Judith davanti a lui e in mezzo agli altri sta in primo piano con il ginocchio sinistro a terra. Una foto in bianco e nero semplice eppure raffigurativa dell’idea di collettivo che sosteneva quella specie di kibbutz della scena che era il Living.

Nabodnisie i kocsodany di Stanislaw Ignacy Witkiewicz, compagnia Cricot 2 di Cracovia, diretta da Tadeusz Kantor, Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma, 9 maggio 1974, fotografia di Tommaso Le Pera

Gerardo e Tommaso

Tommaso e Gerardo per certi versi si somigliano, collezionisti ambedue, accumulatori forsennati verrebbe da dire, febbrili conservatori di immagini sceniche il primo, d’ogni spettacolo nato sulla Terra il secondo. Viene da chiedersi se le loro non siano in effetti enormi cataste di teatro puro e semplice, teatro in quanto tale. Teatrare o non teatrare, questo è il dilemma. Le Pera al tavolino della sua caverna fotografica fa apparire sul computer in un colpo solo centinaia di scatti che paiono file e file di soldati dell’esercito di terracotta dell’imperatore Qin Shi Huang.

Per la preparazione della mostra “Eleonora Duse e il suo mito” a Palazzo Venezia nel 1985, i due si divisero i compiti, Gerardo selezionava i materiali, Tommaso li fotografava. Erano diventati amici. Si capisce quanto sono stati compagni teatrali da come Le Pera guarda sullo schermo del computer un suo scatto digitalizzato di Guerrieri seduto su un divano a chiacchierare con Arthur Miller: “È stato Gerardo a farmi conoscere Miller (pausa) lo spettacolo era Uno sguardo dal ponte (pausa) all’Eliseo (pausa) 1984”.

Gerardo Guerrieri e Arthur Miller durante la conferenza stampa di presentazione di Uno sguardo dal ponte, al Teatro Eliseo, Roma, maggio 1984, fotografia di Tommaso Le Pera

Il magico cappello di Gerardo e Anne nelle fotografie di Tommaso

un momento dello spettacolo del complesso Gamelan Gong Tjarman Wati del villaggio di Sebatu a Bali, Teatro Sistina, Roma, 27 novembre 1972, fotografia di Tommaso Le Pera
Macbeth, di William Shakespeare, adattamento di Charles Marowitz, compagnia The Open Space Theatre di Londra, Teatro Eliseo, Roma, 19 maggio 1970, fotografia di Tommaso Le Pera
Slave Ship di LeRoi Jones, compagnia Chelsea Theater Center di New York, Kilt Club, Roma, 4 maggio 1970, fotografia di Tommaso Le Pera
Clizia di Niccolò Machiavelli, compagnia Il Gruppo della Rocca, Teatro Eliseo, Roma, 22 maggio 1970, fotografia di Tommaso Le Pera
Exit full screenEnter Full screen
previous arrow
next arrow
un momento dello spettacolo del complesso Gamelan Gong Tjarman Wati del villaggio di Sebatu a Bali, Teatro Sistina, Roma, 27 novembre 1972, fotografia di Tommaso Le Pera
Macbeth, di William Shakespeare, adattamento di Charles Marowitz, compagnia The Open Space Theatre di Londra, Teatro Eliseo, Roma, 19 maggio 1970, fotografia di Tommaso Le Pera
Slave Ship di LeRoi Jones, compagnia Chelsea Theater Center di New York, Kilt Club, Roma, 4 maggio 1970, fotografia di Tommaso Le Pera
Clizia di Niccolò Machiavelli, compagnia Il Gruppo della Rocca, Teatro Eliseo, Roma, 22 maggio 1970, fotografia di Tommaso Le Pera
Exit full screenEnter Full screen
previous arrow
next arrow

Agli italiani, Guerrieri ha fatto vedere i giapponesi dello stilizzatissimo teatro nō e della farsa kyōgen, i danzatori di Bali, gli attori turchi di Haldun Dormen in scena all’Eliseo nel 1971 con uno spettacolo musicale in due atti scritto da un famoso attore ottomano, Erol Günaydın, intitolato Una storia di Istanbul. Esiste un esotismo teatrale che permette favolosi viaggi in sella a una poltrona. Con le musiche di Archie Shepp e Gilbert Moses arrivò nel 1970 in una palestra di periferia romana chiamata Kilt club Slave Ship, dramma di LeRoi Jones, scrittore, polemista e propagandista nero che le cronache dell’epoca davano in una galera del New Jersey per detenzione di armi e munizioni in occasione della rivolta nera del 1967. Esiste un teatro politico che offre avventure intense nella rivoluzione. Scrisse il grande critico Raul Radice che Slave Ship era una “allegoria della traversata di una nave nella cui stiva un negriero con la faccia ricoperta da una croce bianca via via imbuca un certo numero di negri, uomini, donne e bambini, malamente contenuti in un esiguo spazio che diventa luogo di tortura”. In una paginetta di presentazione dello spettacolo scritta da LeRoi Jones stesso si leggeva: “Il teatro rivoluzionario, che ora è popolato di vittime, sarà presto popolato di nuovi tipi di eroi: non i deboli Amleti arrovellati dal dubbio se siano o no pronti a morire per i loro ideali personali, ma uomini e donne (e intelletti) capaci di scavare sotto un millennio di ῾arte bella᾿ e di inconsistenti armeggi amorosi… Siamo stregoni e assassini … Il nostro è un teatro di assalto. Il dramma che ci aprirà il cielo si intitolerà ῾La distruzione dell’America᾿”.

Tutto questo teatro, tutta questa scena internazionale che si rivolta contro la polis e il potere, compito statutario dell’arte dei comici, uscita dal magico cappello di Gerardo e di sua moglie Anne, è stato fotografato da Tommaso. Ecco in una foto anche chi contesta i contestatori, Jean-Louis Barrault con il suo Rabelais sotto il telone circense montato nei giardini di Villa Medici. Il grande attore francese aveva detto nel ’68 agli occupanti del Théâtre de l’Odéon di cui era direttore assieme a Madeleine Renaud: “Barrault è morto, rimane un uomo vivo”. E due anni dopo, l’ultima frase dello spettacolo era: “Me ne vado fiducioso in cerca d’un gran Forse. Calate il sipario, la farsa è finita”.

Libri, saggi, trattati, manuali, monografie e dissertazioni si possono scrivere sul Teatro Club / Premio Roma e sulle foto di Le Pera che rappresentano la storia per immagini di una scena ribelle persino con i ribelli, anticonformista, antiborghese, anticonvenzionale, sempre anti perché anticipatrice. Titolo di questa storia per chi non c’era o non era nato o non stava a Roma negli anni dei coniugi guerrieri e della loro grande impresa fra il 1957 e il 1978: Che vi siete persi.

The Blacks di Jean Genet, Compagnia Oxford Playhouse, Teatro Eliseo, Roma, 26 maggio 1970, fotografia di Tommaso Le Pera
Eva Peron di Copi, con Adriana Asti, regia di Mario Missiroli, Circo Demar, Viale Tiziano, Roma, 6 maggio 1971, fotografia di Tommaso Le Pera
uno degli spettacoli della compagnia Nippon Nohgaku Dan, diretta da Umewaka Manzaburo, Teatro Eliseo, Roma, 10 giugno 1970, fotografia di Tommaso Le Pera
Les derniers jours de solitude de Robinson Crusoë, 20 ans d’aventures et d’amour, di Jérôme Savary, compagnia Le Grand Magic Circus di Parigi, Circo Demar, Giardini di Villa Medici, Roma, 26 maggio 1972
Exit full screenEnter Full screen
previous arrow
next arrow
The Blacks di Jean Genet, Compagnia Oxford Playhouse, Teatro Eliseo, Roma, 26 maggio 1970, fotografia di Tommaso Le Pera
Eva Peron di Copi, con Adriana Asti, regia di Mario Missiroli, Circo Demar, Viale Tiziano, Roma, 6 maggio 1971, fotografia di Tommaso Le Pera
uno degli spettacoli della compagnia Nippon Nohgaku Dan, diretta da Umewaka Manzaburo, Teatro Eliseo, Roma, 10 giugno 1970, fotografia di Tommaso Le Pera
Les derniers jours de solitude de Robinson Crusoë, 20 ans d’aventures et d’amour, di Jérôme Savary, compagnia Le Grand Magic Circus di Parigi, Circo Demar, Giardini di Villa Medici, Roma, 26 maggio 1972
Exit full screenEnter Full screen
previous arrow
next arrow

Che vi siete persi?

Vi siete persi il Grand Magic Circus di Jérôme Savary con Les derniers jours de solitude de Robinson Crusoë, anche questo a Villa Medici, sottotitolo 20 anni di avventure e d’amore, testi delle canzoni di Roland Topor. Vi siete persi l’argentino di Baires d’origine italiana naturalizzato francese Copi che scrisse Eva Peron, regia di Mario Missiroli al circo Demar di Viale Tiziano, interpretazione di Adriana Asti e Pina Cei. Ci stavano anche gli italiani nell’universo urbi et orbi teatrale degli artisti, assai precedente al claustrofobico villaggetto globale dei mercanti. Roberto Guicciardini, per esempio, che per Clizia di Niccolò Machiavelli dirigeva gli attori di una classica cooperativa teatrale di quegli anni, Il Gruppo della Rocca, Egisto Marcucci, Paila Pavese, Italo Dall’Orto, Marcello Bartoli che veniva dal Piccolo di Milano dove faceva Brighella e Pantalone. Persino in quegli anni romani internazionali, qualche arnese del falso intellettualismo localistico aveva rimproverato Il Teatro Club / Premio Roma d’essere eccessivamente votato ai forestieri. Ma si può pensare seriamente che gli artisti abbiano una nazionalità, una patria se non quella dell’arte? Lo spettacolo in inglese The blacks, titolo originale Les nègres, scritto dal francese Jean Genet, fu messo in scena da un greco, Minos Volanakis, che dirigeva attori provenienti da Guyana, Sierra Leone, Nigeria, Sud Africa Honduras, Giamaica e Nord America. E chissà di che nazionalità era il Macbeth dell’inglese William Shakespeare diretto dall’americano figlio di ebrei polacchi Charles Marowitz? A proposito di polacchi, c’è la foto dello spettacolo di un regista di Wielopole, vicino Cracovia, si chiamava Tadeusz Kantor, era un gigante, venne a Roma, la Roma che non c’è più, con un testo di Stanislaw Witkiewicz, Nabodnisie i kocsodany. Da delle porte scorrevoli passavano e ripassavano personaggi grotteschi: un uomo con due ruote di bicicletta, un altro con quattro gambe, un terzo con due teste, si vedeva un tizio che al suono del violino d’un gitano si uccideva a ogni momento con una pistolettata, una donna coperta solo d’una pelle d’animale, altre dai seni enormi fatti con sacchetti di pezza, un signore in bombetta che a ripetizione estraeva uno scheletro da un involto. Kantor voleva dire che siamo tutti dei poveri esseri umani. Condizione che in effetti potrebbe rappresentare un difetto ma Gerardo e Tommaso sono riusciti a trasformarla in virtù.

 

Torna in alto